Le bugie della nostra vita by Mikita Franko

Le bugie della nostra vita by Mikita Franko

autore:Mikita Franko [Franko, Mikita]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Mondadori
pubblicato: 2023-05-12T12:00:00+00:00


Il consiglio di classe

La notte prima del consiglio di classe non ho dormito per l’ansia che mi attanagliava. Non appena ce l’ho fatta ad assopirmi, mi sono svegliato al ricordo della voce stridula della nostra insegnante che mi ripeteva che ero un mostro. E ancora: «Il bambino è stato portato via privo di sensi in ambulanza. Se succede qualcosa, sarà colpa tua!».

Mi domandavo come stesse Il’ja. Era ancora in ospedale o già a casa? Probabilmente in ospedale. Anche lui pensava così spesso a quello che era capitato? Forse aveva altro per la testa.

Mi immaginavo l’atmosfera dell’ospedale con l’odore pungente dei medicinali, il tintinnio di fiale e siringhe… Se mi fosse toccato starci, avrei tanto voluto tornare a casa.

E poi mi immaginavo la mamma di Il’ja. Non l’avevo mai vista, ma davanti agli occhi avevo una visione molto nitida di lei, in casa a piangere e soffrire per il figlio. Magari mi odiava. E a ragione.

Il giorno dopo si è scoperto che anche il padre di Il’ja era stato convocato al consiglio di classe. L’ho riconosciuto subito: me lo ricordavo tutto orgoglioso del piccolo Iljuša morso dal cane. Quando è entrato nell’ufficio, i nostri sguardi si sono incrociati, ma lui l’ha distolto per primo. Come se fosse più colpevole di me.

I professori sedevano a un grande tavolo allungato e tutti avevano un’aria terribilmente stanca e indifferente. Volevano andarsene. A capotavola c’era la preside, accanto a lei la nostra insegnante.

Io e Slava ci siamo seduti all’altra estremità. Tutti i presenti ci hanno piantato gli occhi addosso.

«Be’?» ha pronunciato con sarcasmo la preside.

«Cosa?» Non capivo.

«Cosa si dice?»

«Cosa?»

«Cosa si dice quando si entra nell’ufficio della preside?»

«Ah.» Ci sono arrivato. «Salve.»

«Penso tu abbia capito per quale motivo ti abbiamo fatto venire qui» ha continuato la preside.

Come mai ha un tono così sgradevole?

«Spiega a tutti noi perché hai sfigurato il tuo amico.»

«Quale amico?» ho ridacchiato io.

«Fa anche lo spiritoso» ha replicato la preside sdegnata. «Il tuo compagno di classe!»

«Un compagno di classe non è per forza un amico» ho osservato.

«Non fare il pagliaccio, non te lo puoi permettere!»

Slava si è chinato verso di me e ha detto con un filo di voce: «Non farli arrabbiare…».

Ho sospirato. Già cento volte mi avevano chiesto il perché e il percome. Quando ero dal responsabile disciplinare o in commissariato tacevo, oppure mi mettevo a cianciare di un conflitto dovuto a “incomprensioni”. Ma al consiglio di classe ho pensato che dovevo parlare di Anton. Che Il’ja provocava Anton e io ero intervenuto. Stavo quasi per dirlo, ma mi sono fermato: non era affatto vero. Non era Anton che difendevo. Difendevo qualcosa di mio.

«Il’ja ha moltissimi pregiudizi» ho risposto. «La cosa mi dava fastidio.»

«Quali pregiudizi?»

«È un omofobo.»

Gli insegnanti si sono guardati fra loro. L’aula è rimasta per un po’ di tempo come sospesa. Ho sentito vicino a me il sospiro appena percettibile di Slava.

«Cosa significa?» ha domandato infine la preside.

«Significa che lui odia le persone omosessuali» ho spiegato con calma. E mi sono addirittura stupito di quanto mi riuscisse facile. «Le offende, le umilia, le deride.



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